Si è svolto a Parigi dall’8 e il 12 luglio il XXX Congresso Mondiale della WFH, evento biennale che riunisce tutte le componenti mediche e sociali coinvolte nella gestione dell’emofilia e delle malattie emorragiche congenite. Il Convegno, che ha visto la partecipazione di oltre 5000 delegati da 115 paesi, ha sottolineato, in coincidenza con il 50° anniversario della fondazione della WFH, l’obiettivo di fondo della Fondazione, riassunto nello slogan “Treatment for all: close the gap” (trattamento per tutti: colmiamo il divario). I progressi della terapia negli ultimi decenni hanno consentito alle persone affette da emofilia di raggiungere un’aspettativa di vita praticamente sovrapponibile a quella della popolazione generale maschile (negli anni ’60 non arrivava ai 30 anni) ed una qualità di vita molto soddisfacente. Ciò è stato possibile grazie alla crescente disponibilità dei concentrati dei fattori VIII o IX della coagulazione, resi sicuri dai rischi infettivi (i prodotti plasma-derivati sottoposti a inattivazione virale prima e poi quelli ottenuti con tecnologia ricombinante, privati via via di ogni traccia di proteine umane o animali), e alla diffusione della profilassi, il trattamento che consente di prevenire le emorragie gravi e le complicanze articolari degenerative delle emorragie articolari con efficacia tanto maggiore quanto più precoce è il suo inizio, grazie alla somministrazione regolare e a lungo termine dei concentrati. Questi progressi sono stati appannaggio, però, solo dei Paesi Occidentali e di pochi altri Paesi in grado di sostenere gli alti costi della terapia, per cui oltre il 75% degli emofilici nel Mondo è ancora oggi privo di trattamento o riceve un terapia assolutamente inadeguata ‘a domanda’, cioè in presenza di emorragie. Ecco la necessità di ‘colmare il divario’, soprattutto davanti alle prospettive dei nuovi prodotti ‘a lunga emivita’, in grado di ridurre l’impatto della necessità di somministrazioni endovenose ripetute dei concentrati a causa della durata d’azione relativamente breve dei prodotti attuali, critico in particolare nei bambini che intraprendono la profilassi. Sembra paradossale pensare a prodotti tanto avanzati dal punto di vista tecnologico, con investimenti economici importantissimi, quando tanti pazienti non hanno nemmeno la possibilità di un trattamento ‘a domanda’ minimo. I promettenti risultati di alcuni trials di fase I con questi nuovi concentrati fanno ipotizzare la possibilità di somministrare il fattore VIII ogni 5-7 giorni e il fattore IX ogni 15-20 giorni (a fronte degli attuali 2-3 giorni e 3-4 giorni). Questi dati richiamano un altro aspetto molto sottolineato nelle sessioni congressuali, vale a dire la necessità di ‘personalizzare’ il trattamento, in modo da trattare efficacemente ogni paziente a seconda delle sue caratteristiche cliniche e da razionalizzare i costi. Molti studi evidenziano, infatti, che la farmacocinetica (cioè i livelli di fattore raggiunti dopo la somministrazione del farmaco ed il tempo in cui questi livelli risultano adeguati ad impedire emorragie, parametri che presentano una significativa variabilità individuale), insieme alla tendenza emorragica di ciascun paziente (correlata anche alla sua attività fisica e al suo stato delle articolazioni) possono guidare nella scelta del regime di profilassi, cioè nella decisione di dosi e tempo delle somministrazioni. Ciò è ancora più importante alla luce degli studi recentemente completati o in corso che mostrano i benefici della profilassi anche quando iniziata in età adulta (sono stati presentati i primi risultati di uno studio randomizzato internazionale e quelli finali a 5 anni dello studio italiano POTTER, il primo studio prospettico di lunga durata sulla profilassi nell’adulto) o nei pazienti con inibitore (i recenti risultati dello studio PROFEIBA evidenziano che molti pazienti beneficiano della profilassi con il concentrato di complesso protrombinico attivato, in termini di numero di emorragie e di qualità di vita). Queste condizioni implicano costi ancora più elevati per la profilassi, a causa della necessità di quantità maggiori di concentrato (legate al peso dei soggetti adulti) o per la tipologia dei prodotti (gli agenti bypassanti nei pazienti con inibitore), per cui risulta ancora più importante identificare i regimi di trattamento più efficaci e con il miglior rapporto costo/benefici. Resta aperto, in attesa di evidenze più rigorose dai trials in corso, il problema dello sviluppo di inibitore (la complicanza immunologica che nel 30% dei pazienti con emofilia A grave rende impossibile la terapia con i prodotti standard), che può essere eradicato con una strategia impegnativa e costosa che è l’induzione di immunotolleranza. Particolarmente discusso sia nello sviluppo che nell’eradicazione dell’inibitore è il ruolo del tipo di concentrato di fattore VIII, plasmaderivato o ricombinante, con le relative implicazioni economiche. I dati disponibili consentono comunque di individuare i pazienti che, per caratteristiche genetiche e cliniche, sono più a rischio di sviluppo di inibitore o del fallimento della sua eradicazione. Nello sviluppo di inibitore si conferma il ruolo delle mutazioni geniche, cui si aggiunge un contributo importante di fattori ‘ambientali’, in particolare il trattamento intensivo (ad alte dosi e/o prolungato) alle prime esposizioni al concentrato, come accade in casi di emorragia grave o di chirurgia. Questo fa ritenere che ci sono pazienti predisposti geneticamente allo sviluppo di inibitore, ma tale evento è molto più probabile se si realizzano condizioni in cui il sistema immunitario riceve notevoli segnali di attivazione a causa del danno dei tessuti (chirurgia, traumi, emorragia). Questo è il presupposto per cui invece la profilassi, cioè la somministrazione di prodotto in assenza di questi segnali, può rappresentare una protezione dallo sviluppo di inibitore. Il recente ampio studio internazionale RODIN su oltre 600 bambini, conferma il ruolo del trattamento intensivo mentre gli effetti protettivi della profilassi non sembrano così evidenti, mostrandosi solo dopo i primi 20 giorni di esposizione e nei pazienti con mutazioni già a minore rischio. Anche per il successo dell’immunotolleranza i fattori genetici sono risultati importanti, come ha dimostrato il Registro Italiano che ha analizzato oltre 100 trattamenti condotti negli ultimi 15 anni. E’ inoltre predittivo dii successo il titolo di inibitore all’inizio dell’immunotolleranza, che dovrebbe essere quanto più basso possibile, anche inferiore a 5 BU. Appare perciò importante, sia nello sviluppo di inibitore che nella sua eradicazione, cercare di ottimizzare la gestione clinica, intervenendo sui fattori modificabili dalle scelte del medico. Lo scenario clinico è reso ancora più complesso dalla necessità di affrontare nei pazienti emofilici anche le patologie tipiche dell’età avanzata (malattie cardiovascolari e degenerative, neoplasie), che sono diventate di più frequente osservazione grazie all’aumento della vita media e che richiedono farmaci o interventi che possono incrementare il rischio emorragico. Non ci sono ancora linee guida sul questi temi e si sta cercando di raccogliere le esperienze, ancora limitate, a livello nazionale ed internazionale. Sulle complicanze dell’emofilia più classicamente trattate, si preannunciano nei prossimi anni novità nel trattamento dell’epatite HCV correlata, con nuovi farmaci inibitori delle proteasi che permetteranno di migliorare le possibilità di successo e, più avanti, anche di trattare i pazienti senza l’interferone e i suoi effetti collaterali spesso molto rilevanti. In campo ortopedico si sta prestando più attenzione all’artropatia di gomito, sottolineando l’importanza di una fisioterapia mirata e continua, e con promettenti prospettive di interventi di protesi. Colmare il divario, il tema del Convegno, rappresenta una sfida ancora complessa, che rende indispensabile una cooperazione internazionale a tutti i livelli: questo impegno ha consentito finora di ottenere risultati scientifici di grande importanza in una patologia rara come l’emofilia, ma va trasferito sempre di più sul piano gestionale e di implementazione della diagnostica e della terapia per il 75% dei pazienti del Mondo ancora senza assistenza adeguata.
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